Docker è stato, senza mezzi termini, una rivoluzione. Un cambio di paradigma nel modo in cui pensiamo, costruiamo e distribuiamo software. Un layer trasparente tra sviluppatori e infrastruttura, capace di creare una nuova normalità: build leggere, ambienti replicabili, deployment semplificati. Docker è stato molto più di una tecnologia: è stato un movimento.
Ma i movimenti, come le mode, tendono a cristallizzarsi. E quando una tecnologia da “motore del cambiamento” diventa solo “un motore di esecuzione” – un runtime engine, per capirci – allora entra in un’arena diversa. Un’arena affollata di zombi antichi e resistenti: la JVM, il .NET Framework, e altri runtime consolidati con decenni di ottimizzazione e community alle spalle. Docker si sta infilando, forse inconsapevolmente, in una battaglia che non è la sua. E in quella battaglia, la differenza tra vincere e sopravvivere è enorme.
Il problema non è solo tecnico. È strategico.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a una normalizzazione del fenomeno Docker. Da fenomeno open, agile, innovativo… a uno strumento “comodamente cloud-ready”, perfetto per accompagnarti nel tuo vendor lock-in di fiducia. Un tempo Docker era l’elemento che ti emancipava dal sistema. Oggi rischia di diventare l’esca: ti attiro con la semplicità, poi ti lego al mio ecosistema cloud.
E ora c’è MCP. Il Model Context Protocol, la nuova scommessa di Docker. Una mossa che sa tanto di corsa alle buzzword. MCP è un protocollo ancora nebuloso, in fase embrionale, ma presentato con toni da game-changer. Eppure, chi ha già visto passare la bolla NFT, la moda Web3, il miraggio del metaverso… riconosce l’odore di un deja-vu. MCP rischia di essere un’altra sigla alla moda, una di quelle innovazioni-pannello che ammiccano più al marketing che alla tecnica.
E qui sta il punto più amaro.
Quello che ci saremmo aspettati da Docker era una continua spinta tecnica sotto traccia. Un’evoluzione sobria ma potente. Non prodotti da vetrina, ma strumenti reali per chi fa davvero software. Un Docker che innovava nel silenzio, rimanendo un alleato degli sviluppatori, non un brand alla ricerca di hype.
Ma forse il ciclo è inevitabile: prima costruisci qualcosa di rivoluzionario, poi cerchi di capitalizzarlo. Ed è proprio in quel passaggio che spesso si perde la magia.
Siamo al tramonto di Docker? Forse no. Ma qualcosa è cambiato. E chi ha vissuto l’entusiasmo iniziale lo percepisce chiaramente.